“I battiti cambiavano da persona a persona, svelandone la vecchiaia o la giovinezza, la gioia, il dolore, la paura o il coraggio, ma fra le razze e le nazionalità non c’erano differenze.” (L’arte di ascoltare i battiti del cuore, J.P. Sendker). Questo libro, che sto leggendo in questi giorni, tratta della storia romanzata del giovane Tin Win, un ragazzo birmano, che, a causa della sua cecità, affina il senso dell’udito che gli permette di distinguere suoni che i vedenti non riescono a percepire, suoni come il battito del cuore delle persone. Una storia surreale in alcuni passaggi, ma che mi ha portato a riflettere su quanto a volte il nostro metro di giudizio, la nostra percezione degli altri siano superficiali e influenzati da stereotipi o credenze infondate. Il cuore: l’organo centrale, fondamentale per la nostra vita. A volte, quando abbiamo paura, i suoi battiti accelerano, spesso talmente tanto che abbiamo l’impressione che possa scoppiare. Lo stesso accade quando siamo innamorati o quando proviamo un forte dolore. Il cuore è un organo che ci accomuna tutti. E se ne accorge anche Tin Win. Dai battiti che ascolta non riesce a percepire le differenze di razza, di religione, di nazionalità, il colore della pelle, ma solo le emozioni e le età delle persone. In questo periodo così difficile vorrei che qualcuno ci insegnasse ad ascoltare i battiti del cuore, vorrei chiudere gli occhi, vorrei che il mondo chiudesse gli occhi e che ascoltasse i cuori impauriti di Parigi così come quelli del Mali e dell’Egitto, i cuori spaventati della Turchia e quelli stanchi e ormai in fin di vita della Siria. Vorrei che il mondo ascoltasse i cuori freddi e inespressivi di chi ha compiuto e di chi continua a compiere atrocità in questi e in molti altri paesi unicamente per motivi politici. Sono convinta che se fossimo come Tin Win sapremmo riconoscere un cuore pio: un cuore calmo, tranquillo, che ha trovato la pace in Dio, come lo è quello di tanti musulmani o di tanti cristiani, ebrei, induisti, che seguono la propria strada di fede senza lasciarsi sopraffare da ciò che non ha niente a che vedere con questa. Gli occhi sono fondamentali, ma a volte ci ingannano. Quando mi trovo ad accompagnare gli utenti stranieri del progetto per cui lavoro e cammino con loro per strada o siamo seduti in macchina, sento decine di sguardi indagatori, decine di sguardi sospettosi, impauriti. Le persone si allontanano, si guardano alle spalle, sobbalzano al minimo rumore, controllano che non abbiano borse o zaini. Quanto vorrei non sentire quegli occhi puntati addosso, quanto vorrei urlare la mia indignazione, la mia rabbia, quanto vorrei che quello che sta succedendo non terrorizzi le persone più del dovuto e non le porti a giudicare con cattiveria chi ha il diritto di essere accolto e protetto. Quanto vorrei che non ci fossero muri sbarrati e frontiere chiuse, quanto vorrei che non si rispondesse alla violenza con altra violenza. Sono sogni di una che ha sempre lavorato per e con i migranti, che ha provato ad ascoltare i loro cuori prima ancora di guardarli in faccia. E che questa volta non ha voluto raccontare la storia di uno di loro, ma una storia che potrebbe essere quella di tutti noi.
I battiti del cuore
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